L’armatura restaurata del guerriero giapponese torna all’Armeria Reale

Grazie al programma «Restituzionii» di Intesa Sanpaolo
Pubblicato il 26/01/2017
Ultima modifica il 26/01/2017 alle ore 18:41
EMANUELA MINUCCI
TORINO
Era mezzo secolo che questo samurai non si faceva vedere dalle parti di piazza Castello. Ora, grazie al restauro finanziato da Intesa Sanpaolo, la sua splendida armatura è di nuovo esposta ai Musei Reali. Il suo nome originale è «Kebikiasagiodoshihon-kozane do-maru». Tradotto dal giapponese significa armatura composita del tipo do-maru a fettucce di seta azzurra». Dopo il restauro realizzato nell’ambito del programma a tutela del patrimonio artistico nazionale «Restituzioni», l’armatura B.53, uno dei tre pezzi completi giapponesi entrate a far parte delle collezioni dell’Armeria Reale nell’Ottocento, torna a casa. Il suo recupero è stato presentato ieri ai Musei Reali dalla direttrice Enrica Pagella, il responsabile dei Beni Culturali di Intesa Sanpaolo Michele Coppola, il prefetto Renato Saccone, Mario Epifani della sovrintendenza e una delle responsabili del restauro Alessandra Curti.

Realizzata assemblando elementi databili tra il XV e il XVIII secolo, la suddetta armatura fu donata dall’imperatore del Giappone Meiji a Vittorio Emanuele II nel 1869, a tre anni dalla firma del trattato di amicizia e commercio tra il Regno d’Italia e l’Impero giapponese, ratificato a Edo, l’odierna Tokyo. Nel catalogo dell’Armeria del 1890 l’armatura, identificata col numero B.53, era descritta come «guerriero giapponese, a piedi, armato di tutto punto» e così è riprodotta nell’album fotografico pubblicato nel 1898. Come ai tempi della sua esposizione in Armeria alla fine dell’Ottocento, l’armatura è presentata in piedi (su un nuovo supporto realizzato ad hoc, come se dentro ci fosse il guerriero) insieme con l’indispensabile corredo del samurai, la spada lunga o katana, identificata con l’anima stessa del proprietario, simbolo del suo onore e del suo ruolo sociale.

LEGGEREZZA E AGILITA’
L’armatura è del tipo dō-maru, apparato difensivo leggero utilizzato per lo scontro a piedi. Le diverse parti (elmo, maschera, corazza con spallacci, bracciali, scarsella, cosciali, schinieri, pantaloni e calzature) sono caratteristiche della tradizione militare giapponese tra XII e XIX secolo e rispondono alla necessità di garantire a un tempo resistenza, impermeabilità ed elasticità. La libertà di movimento consentita dalle file di lamelle in cuoio o metallo laccato e dorato (kozane), unite tra loro da fettucce di seta azzurra e arancio (odoshi), contrappone la struttura di quest’armatura a quella decisamente più rigida delle coeve armature occidentali, conferendole un senso di leggerezza e di raffinata eleganza.
La cura e la ricchezza della realizzazione, la scelta dei materiali impiegati (acciaio, oro, argento, rame, legno policromo, lacca, cuoio, pelle, seta, canapa) e le peculiari scelte cromatiche indicano la destinazione a un personaggio di rango elevato.

IL RECUPERO
Il risultato del restauro della complessa armatura, costituita da materiali diversi, dalla seta alla pelle e alle leghe metalliche, è già stato presentato nel 2016 presso le Gallerie d’Italia di Milano in occasione della mostra «La bellezza ritrovata». Non più esposta in Armeria da quasi cinquant’anni, ora torna nella sala della Rotonda in una nuova vetrina super-tecnologica realizzata per garantirne la conservazione e la fruizione da parte dei visitatori dei Musei Reali. L’esposizione dell’armatura è inserita tra gli eventi delle celebrazioni ufficiali per il 150° anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia, avviate con il Trattato di Amicizia e di Commercio firmato il 25 agosto 1866.

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